L’azione di disconoscimento della paternità di cui all’art.235 c.c. è finalizzata a superare lo stato di legittimità, conseguito dal figlio in forza delle presunzioni di cui agli artt. 231, 232 e 233 C.C. La sentenza ha natura di pronuncia di accertamento e travolge (con effetti ex tunc ed erga omnes) lo stato di figlio legittimo del soggetto disconosciuto.
La normativa di riferimento individua le circostanze in cui può essere esercitata l’azione di disconoscimento, tra cui l’adulterio commesso dalla moglie. In questo caso, il marito è ammesso a provare che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre o ogni altro fatto tendente ad escludere la paternità. Da ciò ne discende che, se il figlio era stato riconosciuto precedentemente dal genitore naturale, il riconoscimento (già privo di effetto in quanto contrastante con lo stato di figlio legittimo), viene ad essere pienamente operante proprio in forza della caducazione di tale stato per il passaggio in giudicato della sentenza di disconoscimento.
Casi di ammissibilità della domanda
L’azione è in primo luogo esperibile se:
- i coniugi non hanno coabitato nel periodo compreso fra il trecentesimo e il centottantesimo giorno prima della nascita. L’onere della prova riguardante la mancata coabitazione grava sulla parte che chiede il disconoscimento, ferma restando la facoltà della prova contraria a carico della parte convenuta. La non coabitazione deve essere intesa come comprensiva delle ipotesi in cui i coniugi, pur avendo abitato nel medesimo alloggio o vissuto nella stessa città, si siano trovate insieme in circostanze di tempo e di luogo e in condizioni personali e soggettive tali da rendere improbabili rapporti intimi. La richiesta di prove genetiche o ematologiche che il giudice è tenuto ad accogliere in caso di adulterio o celamento della gravidanza, è invece lasciata all’apprezzamento del giudice stesso nel caso di mancata coabitazione.
- Impotenza del marito anche solo a generare in tutto il periodo compreso fra il trecentesimo e il centottantesimo giorno prima della nascita. Al marito incombe l’onere della prova.
- Rileva anche l’adulterio della moglie o il celamento al marito della gravidanza. All’uopo si ricorda la sentenza n.266 del 5 luglio 2006 della Consulta che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 235 c.c., comma 1 n.3, perché in contrasto con l’art.24 Cost., nella parte in cui, ai fini dell’azione di disconoscimento della paternità, subordina l’esame delle prove tecniche da cui risulta “che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre, alla previa dimostrazione dell’adulterio della moglie”.
Legittimati ad agire e termini
L’azione di disconoscimento di paternità può essere esperita dalla madre, dal marito e dal figlio. La madre deve proporre l’azione di disconoscimento nel termine di sei mesi dalla nascita. Il dies a quo (cioè la nascita) è il medesimo anche per il padre, ma il termine è quello di un anno, ove egli si fosse trovato nel luogo di nascita del figlio; altrimenti, nel caso cioè si fosse trovato lontano o altrove, il termine decorrerebbe dal giorno del rientro alla residenza familiare. In ogni caso, se il presunto padre prova di non avere avuto notizia della nascita in detti giorni, il termine decorre da quando ne ha avuto notizia.
Si deve comunque menzionare la pronuncia della Corte Costituzionale (N.134/1985) che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 244 c.c. nella parte in cui non dispone per il caso di cui al n.3 dell’art.235 c.c., che il termine dell’azione di disconoscimento decorra dal giorno in cui il marito sia venuto a conoscenza dell’adulterio della moglie (qualora il medesimo sia stato scoperto dopo la nascita).
Sempre la Corte Costituzionale è intervenuta (senT. N.170/99), dichiarando l’illegittimità della normativa nella parte in cui non prevede che i termini per la proposizione della domanda decorra sia per la moglie che per il marito dal giorno dell’avvenuta conoscenza dell’impotenza a generare del coniuge stesso.
Infine, il disconoscimento può essere proposto dal figlio al compimento del 18° anno di età o dal momento in cui viene a conoscenza dei fatto che rendono possibile l’azione. In caso di minore età, l’azione può essere promossa da un curatore nominato dal giudice, assunte sommarie informazioni su istanza del figlio minore che ha compiuto i sedici anni, o dal Pubblico Ministero quando si tratti di età inferiore.
Se il titolare dell’azione muore senza averla promossa ma prima che sia decorso il termine, ai sensi dell’art.46 c.c., sono ammessi ad esercitarla in sua vece i più stretti congiunti, nei cui confronti inizia a decorrere il termine di un anno.
Avv. Maria Garofalo, Milano.
Studio Legale Garofalo, specializzato in diritto di famiglia, avvocato matrimonialista, avvocato divorzista, tutela interessi coniugi e minori.